E’ del Wall Street Journal, l’11 luglio scorso, sulla coppia Merkel-Sarkozy, all’indomani dell’eurovertice di Cannes. “Niente di ciò che diranno d’ora in poi potrà più essere credibile”. Motivo: aver prima deciso che la Grecia andava a un abbattimento da default del suo debito con massiccia compartecipazione alle perdite dei creditori privati; poi aver aggiunto che sarebbe stato l’unico caso e che nessun altro ne avrebbe seguito l’esempio; al contempo, che nessuna uscita dall’euro sarebbe stata consentita; infine che in nessun modo vi sarebbero state però euroresponsabilità comuni per i debiti pubblici nazionali. “Queste quattro cose insieme non si reggono, non si lamenti l’Europa se nessuno ci crederà. E se la sua crisi si aggraverà”. E’ puntualmente avvenuto. Vediamo perché.
Sei maggio, giorno dell’ira. E’ sempre più chiaro. Alle urne, domenica, ai quattro angoli dell’Europa si scatena l’Armageddon. Al secondo turno delle presidenziali in Francia il socialista Hollande parte con 10 punti di vantaggio su Sarkozy, fedele comprimario dei tedeschi prima di cambiare idea all’ultimo minuto. Niente fiscal compact, niente tagli, 100 mila assunti pubblici in più, età pensionabile abbassata a 60 anni per tutti. Hollande è la negazione di ogni rigore. E il beniamino degli antitedeschi di tutta Europa. In Grecia, i socialisti del Pasok e i conservatori di Neà Demokratia, i due partiti alternatisi nella crisi, nei sondaggi sommati non hanno il 45%. In Serbia, è nei guai il presidente Tadic, che domenica puntava sull’approdo in Europa. In Italia, alle amministrative misureremo l’esplosione della rabbia per le tasse asfissianti di Monti. In Germania, domenica si vota per il Land dello Schleswig Holstein, dopo una settimana in Nord Renania Westfalia. La Fdp nei sondaggi sta sotto la soglia del 4%, si allontana la possibilità che tra un anno la Merkel abbia una sua maggioranza. Dovunque, in Europa, vince il no alla Merkel. Tramonta un’Europa senza cooperazione tra forti e deboli. Per noi che non crediamo che una mioneta comune si faccia e regga tra mercatui divisi dei beni e dei servizi, è un’amara soddisfazione.Dieci piccoli indiani. E’ lunga la lista degli eurogoverni ribaltati, chi alle urne e chi no. E’ avvenuto in Irlanda, in Portogallo, in Spagna, 2 volte in Grecia in 2 anni, 2 volte in Romania in 6 mesi. Sta avvedendo in Francia. In Belgio, oltre 500 giorni senza governo. E’ caduto sui tagli il governo olandese filogermanico, si vota in autunno. E’ caduto il governo italiano, e sono arrivati i tecnici. Spazio ai competenti. Giustissimo. Ma se i competenti fanno solo i macellai fiscali, i popoli li disconoscono. E disconoscono l’Europa. Rajoy in Spagna, con le sue due manovre aggiuntive, un disoccupato su quattro e le casse di risparmio in via di esplosione, rimpiange quando stava all’opposizione.
I populismi ringraziano. Altro che l’Europa seria di Adenauer, Schumann e De Gasperi. Un voto su tre francese è alla destra lepenista o alla sinistra estrema di Melanchon. In Olanda, è l’antimmigrazionismo nazionalista di Geeert Wilders a sfiduciare il premier filoririgore Mark Rutte. In Germania, è il partito dei Pirati a entrare nei parlamenti. In Italia, è Grillo ad andar forte. C’è un populismo sano, quello che innerva sin dall’inizio la secessione delle Tredici Colonie americane e che dopo 13 anni sfocia negli Stati Uniti. E un populismo malato, che a 13 anni dalla nascita dell’euro ne ripudiarne regole e princìpi perché producono miseria, ma in realtà propone ricette avventuristiche, che eliminano l’Europa dalla carta geografica oggi e domani.
L’odiato fiscal compact. In tre quarti d’Europa e ormai anche in Italia, destra e sinistra dicono peste del fiscal compact, il patto di rigore sotto dettatura tedesca di inizio anno. In funzione anti Hollande, la Merkel ha convocato Monti per un asse sostitutivo, non più franco-tedesco ma Roma-Berlino. Una vittoria, per Monti? Mah. Non sarà l’eventuale approvazione contemporanea del fiscal compact del Bundestag e del Parlamento italiano, a evitarci la risalita degli spread verso quota 500 dopo l’Armageddon del 6 maggio. Né ci eviterà un Pil che scende verso il meno 2% in questo 2012, con una moria di piccola impresa senza precedenti, suicidi di imprenditori a catena, migliaia di “esodati” in preda al terrore. Vediamo come va a Parigi. Ma un Monti neo comprimario della Merkel, si candida alla fine di Sarkò.Rigore senza crescita. Il no al fiscal compact è da tutti così declinato: obbliga a manovre depressive che aggravano la recessione. E’ qui la sconfitta germanica. Merkel avrebbe dovuto spiegare che se si crede nell’euro bisogna fare tre cose. Unire mercati dei beni, dei servizi e del lavoro, accettandone la libera circolazione e abbattendo ogni pretesa di barriere nazionali. Dire che il deficit zero va raggiunto con meno spese e privatizzazioni, non con più tasse, e che ciò vale innanzitutto per chi le ha già altissime come noi. E infine che che mentre i deboli correggevano il proprio Stato obeso e rilanciavano la produttività, la Germania avrebbe reimmesso in circolo almeno parte del surplus di capitali che si dirigevano verso di lei. Non può reggere un’unica moneta tra bilance dei pagamenti e produttività tanto divergenti. Così, oggi a dire no al fiscal compact sono paradossalmente insieme i disoccupati, e milioni di topi che ingrassano nella spesa pubblica.
Le banche scassate. Il trilione di euro garantito dalla Bce di Mario Draghi al sistema bancario europeo è stato opportuno. Ma ha solo comprato tempo. L’abbattimento degli asset deteriorati delle banche europee è più che doppio, in questo 2012 . Le casse di risparmio spagnole hanno bisogno di un’intervento d’urgenza, da sole hanno asset senza prezzo pari al 13% nominale del Pil. Le banche italiane stanno meglio, ma hanno redditività zero, un cost-income verso il 70%, rettifiche su crediti incagli e sofferenzze sempre più da paura, e siamo al quinto mese di calo dei depositi. Si preparano interventi diretti di Esm-Efsf, ma la loro dotazione finanziaria non basta.
I Brics diffidenti. Dopo Lehman Brothers, l’Europa si è riempita la bocca della nuova governance mondiale allargata al G20. Basta America da sola al comando! In realtà, i Brics hanno visto la loro crescita rallentata dall’eurocrisi. E oggi perdono la pazienza perché Europa e America sono in gara nel tentare il ribasso di dollaro ed euro. Rallentata la loro crescita, tentare ai loro danni lo sgambetto dei cambi significa spingerli a importare meno nostri prodotti.La Germania esposta. La Germania ha finanziato in questi anni il suo debito a costi negativi. Ma è la Bundesbank, che ha finito per finanziare trasferimenti crescenti garantiti da asset a rischio degli eurodeboli. Nel sistema Target2, la banca centrale tedesca è esposta oggi per circa 680 miliardi di euro. Finché l’euro tiene e non ci sono altri default, poco male. Ma un’Europa esplosa per Berlino comporta perdite astronomiche.
I premi mancanti. Merkel e soci non hanno mai indicato a deboli e vittime dell’eurocrisi un meccanismo premiale. Non c’è una distinzione precisa tra deficit strutturale da ridurre e deficit ciclico da sostenere. Non c’è un ruolo di EFSF e BCE coerente al sostegno dei Paesi più impegnati nel rientro, ma solo ad evitare che il loro spread sia un problema per tutti. Non c’è un meccanismo di default bancario comune, che separi e ristrutturi asset illiquidi, da banche che ripartano con nuovi azionisti al sostegno di imprese e famiglie. Al contrario, l’economia reale paga pegno e le banche vengono pressate a comprare bonds pubblici. Senza premio cooperativo, una convergenza solo di più tasse e più recessione porta all’insostenibilità la svalutazione interna di redditi e patrimoni.
Viva la Svezia. Sono due, i Paesi europei cresciuti di più in questi anni amari. Uno è la Polonia, che ha rinunciato all’euro innanzi al guaio greco. Varsavia ha scelto l’integrazione con la sola Germania. L’altro è la Svezia. Anch’essa mantiene la sua corona. Dei 12 punti di Pil di rientro della sua finanza pubblica dall’eccesso di deficit di fine anni 90, tre quarti sono venuti dal taglio alla spesa, l’esatto opposto che da noi. Piccolo particolare: lì nel 2006 hanno vinto dei sani conservatori che hanno fatto proprio quel che avevano promesso, tagliato spesa e tasse. Per questo hanno rivinto nel 2010, e continuano a crescere. Con tanti saluti a frau Merkel. E a noi, naturalmente. Che abbiamo perso 9 punti di Pil sulla germania e 11 sulla francia, dal 2001 al 2011, grazie a questo bello Stato dilapidatore che è la peggior creazione italiana di tutti i tempi.