Il 14 luglio 1555 con la bolla "Cum nimis absurdum" Paolo IV istituì il ghetto, sull'esempio del quartiere ebraico di residenza obbligatoria creato a Venezia nel 1516, ma con una intransigenza controriformista priva di precedenti: gli ebrei avrebbero dovuto vivere in un quartiere separato e munito di portoni, non avere più di una sinagoga, vendere tutti i beni immobili ai cristiani, non tenere più servitù cristiana, portare il segno distintivo e, come attività economica, praticare il prestito ad un tasso imposto e la sola arte di venditore di stracci.
Le "Scole" furono ridotte a cinque (Tempio, Catalana, Castigliana, Siciliana e Nova) e raggruppate in un unico edificio, le botteghe e le abitazioni fuori dal "claustrum" progressivamente abbandonate.
La vita nel ghetto iniziò a risentire problemi di sovraffollamento quando un altro papa, Pio V, nel 1566 e nel 1569 obbligò gli ebrei a concentrarsi a Roma e ad Ancona, escludendoli dalle altre città pontificie. Clemente VIII nel 1593 aggiunse, tra i luoghi di residenza imposta, la città francese di Avignone.
Le idee di uguaglianza e libertà propugnate dalla Rivoluzione francese non avevano trovato insensibili gli ebrei romani: quando tra il 1798 e il 1799 le truppe napoleoniche proclamarono la Repubblica romana, gli abitanti del ghetto accorsero numerosi ad arruolarsi nella guardia civica.
Il 14 gennaio 1814 i francesi abbandonarono la città e, pochi giorni dopo, vi fece ritorno Pio VII, in pieno clima di Restaurazione.
Intanto l'opinione pubblica liberale a Roma e all'estero iniziava a sollecitare il papa a migliorare le condizioni di vita degli ebrei e l'abolizione del ghetto. Ma il ghetto di Roma rimase l'ultimo emblematico retaggio della discriminazione in un'epoca di principi liberali e democratici: il 20 settembre 1870 la breccia di Porta Pia segnò contemporaneamente la fine del potere temporale dei papi, l'abolizione definitiva del ghetto e la completa equiparazione degli ebrei romani agli altri cittadini.
Testo ripreso da Visite roma .it